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LOTTA ALLA MAFIA E INTERDITTIVE ANTIMAFIA

LOTTA ALLA MAFIA E INTERDITTIVE ANTIMAFIA 
INTERVENTO SVOLTO IN AULA AL SENATO DAL SEN. CARLO GIOVANARDI 


PER LEGGERE L'INTERVENTO CLICCA SU "LEGGI IL CONTENUTO"


Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 341 del 29/10/2014
(Bozze non corrette redatte in corso di seduta)

SENATO DELLA REPUBBLICA
------ XVII LEGISLATURA ------

341a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
Antimeridiana
Discussione congiunta dei documenti:
(Doc. XXIII, n. 2) Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, sul semestre di presidenza italiana dell'Unione europea e sulla lotta alla criminalità mafiosa su base europea ed extraeuropea 
(Doc. XXIII, n. 3) Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali 
(Doc. XXIII, n. 4) Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia


GIOVANARDI (NCD). Signor Presidente, il nostro Gruppo condivide il contenuto delle due relazioni, che sono complesse, articolate e serie.
Rivolgendomi ai tanti colleghi intervenuti, proprio perché la materia è di grande serietà, segnalo che forse va affrontata con meno visione di film seriali in televisione sulla mafia tipo «La Piovra» e più attinenza alla realtà dei fatti.
Sono sempre stato favorevole e continuo ad esserlo alle misure più severe e repressive possibili nei confronti della criminalità organizzata, compreso il carcere duro, che la mia area di appartenenza ha sempre sostenuto con grande rigore. Sono dunque a favore della lotta alla mafia, alla 'ndrangheta, alla camorra e alla criminalità organizzata senza quartiere e con tutti gli strumenti, come la gestione corretta dei pentiti o anche gli accordi internazionali - come avviene per queste realtà - che possano efficacemente colpire questo fenomeno.
Approfitto di questa occasione per sottolineare come una certa interpretazione della lotta alla mafia, alla camorra e alla 'ndrangheta invece di colpire i malavitosi colpisca i cittadini onesti. Ci troviamo di fronte ad una situazione kafkiana, specialmente al Nord, dove imprese sane e cittadini perbene vengono colpiti in modi - adesso vi leggerò come - che, secondo me, sono indegni di un Paese civile perché ci riportano alla Santa Inquisizione, visto che si tratta di situazioni nelle quali i cittadini non possono difendersi rispetto alle accuse che vengono sollevate nei loro confronti.
Parto da una premessa: occorre fare un'analisi seria della situazione. Ho partecipato ad una seduta della Commissione antimafia a Bologna, dove mi è stato presentato un documento del gennaio di questo anno in cui mi si dice che - io sono di Modena - le Province di Modena e Reggio Emilia soprattutto hanno avuto un'infiltrazione della mafia e della 'ndrangheta che ha occupato militarmente il territorio, i cittadini e le loro menti, con un condizionamento ancora più grave. Le nostre due Province sarebbe dunque state occupate militarmente dalla criminalità organizzata che avrebbe occupato anche i cuori e le menti di 1.100.000 cittadini modenesi e reggiani. Nel documento si aggiunge che chi, come me, ha contestato delle interdittive è un erosore di legalità perché chi critica determinati interventi diventa un alleato.
Colleghi, come funziona attualmente? Leggo l'ultima interdittiva di ieri nei confronti di un giovane di 32 anni. Il padre era stato interdetto e la sua azienda nel modenese è fallita. Lui a 30 anni ha cercato di mettere su un'azienda, ma a sua volta è stato oggetto di un provvedimento interdittivo. Vi rileggo, come ho già fatto in un'altra occasione che cosa c'è un in provvedimento interdittivo, perché si abbia consapevolezza di che cosa è la lotta alla mafia, alla 'ndrangheta e alla criminalità, e di che cosa è altro. Richiamo l'attenzione del vice ministro Bubbico, perché la questione riguarda il Ministero dell'interno.
Che cosa c'è scritto ormai "a stampino" in queste interdirettive? Ascoltate: «Il concetto di tentativo di infiltrazione mafiosa, in quanto di matrice sociologica e non giuridica, si presenta estremamente sfumato e differenziato rispetto all'accertamento operato dal giudice penale, signore del fatto. La norma non richiede che ci si trovi al cospetto di una impresa criminale, non si richiede la prova dell'intervenuta occupazione mafiosa, né si presuppone l'accertamento di responsabilità penali in campo ai titolari dell'impresa sospettata» Nel caso di cui parlo, gli imprenditori sono persone assolutamente oneste che, però, hanno assunto degli operai, dei manovali di Crotone uno dei quali, dagli accertamenti, è risultato avere una relazione sentimentale con una donna di 23 anni figlia di un boss.
Quindi, non ci devono essere presupposti di responsabilità penale: «essendo sufficiente che dalle informazioni acquisite tramite gli organi di polizia si desuma un quadro indiziario che, complessivamente inteso, ma comunque plausibile, sia sintomatico del pericolo di collegamento tra l'impresa e la criminalità organizzata». Quindi non si può escludere.
Si legge inoltre: «L'informativa antimafia deve fondarsi su di un quadro fattuale di elementi che, pur non dovendo assurgere necessariamente, a livello di prova (anche indiretta), siano tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l'"id quod plerumque accidit", l'esistenza di elementi che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto con la p.a. Né è richiesta la prova dell'attualità di una situazione di pericolo». Più avanti si legge inoltre: «rilevato che per costante giurisprudenza la cautela antimafia non mira all'accertamento di responsabilità, ma si colloca come la forma di massima anticipazione dell'azione di prevenzione, inerente alla funzione di polizia e di sicurezza, rispetto a cui assumono rilievo, per legge, fatti e vicende solo sintomatici e indiziari, al di là dell'individuazione di responsabilità penale».
Scusate ma è ciò che ha scritto il «Sole 24 Ore» finora. Quelli della Santa Inquisizione erano dei dilettanti al confronto!
Può quindi capitare che in un'impresa con sede a Modena, a Reggio, in Emilia Romagna da 100 anni di cui si conoscono i titolari, i figli, i parenti, di cui si sa tutto di tutti, arrivano gli inquirenti che, controllando, verificano che è stata assunta una persona che intrattiene una relazione sentimentale con un certo individuo per cui si incorre in un dato pericolo. Quindi arriva la misura l'interdittiva per cui l'impresa non può più lavorare con gli enti pubblici, saltano le commesse e dunque fallisce. E se il figlio del titolare vuole lavorare non può farlo perché, essendo suo figlio, si è legittimati a pensare che se avvia un'azienda lo fa per eludere l'interdittiva emanata nei confronti del padre. Il figlio dunque deve impiccarsi? Deve suicidarsi? Cosa c'entra la mafia, la 'ndrangheta e la camorra con questo?
Come ho già detto in Commissione antimafia, ci sono intimidazioni, ci sono minacce, ricatti e scalate societarie in galera. Queste persone vengono inquisite. Ma lo Stato, i prefetti, l'interforze non devono essere percepiti dal cittadino come dei nemici.
Quando tre anni fa a Modena sorse una polemica pubblica perché nelle liste del PdL sembrava volessero iscriversi persone sospette perché nate in Sicilia, in Calabria o in Campania in qualità di Sottosegretario ho incontrato il prefetto, il colonnello dei Carabinieri, il questore e il procuratore della Repubblica per fargli vedere un elenco di nomi che avevo rilevato anch'io, avendo letto sui giornali che potevano avere qualche legame, e, colleghi senatori, che cosa hanno detto le quattro autorità? Che non potevano darmi alcuna indicazione perché i dati erano protetti da privacy. Ripeto, non potevano darmi indicazioni.
Allora ditemi, se è giusto che un politico, un parlamentare, un imprenditore che assume una persona nata in quelle Regioni o che ha un contatto con un'impresa di quelle Regioni che, magari, per la prefettura e il DURC risultano regolari poi riceve l'interdizione perché da indagini successive risulta che questi hanno dei collegamenti o hanno parlato con dei sospettati. Ma vi sembra sia questo il modo di condurre la lotta contro la criminalità organizzata?
Sembra di tornare al tempo dei Catari quando, entrando nella città, si chiedeva al vescovo come distinguere i buoni cattolici dagli eretici ed egli rispondeva che dovevano uccidere tutti perché poi Dio avrebbe saputo distinguere gli uni dagli altri.
Rivolgendomi al rappresentante del Governo ed ai colleghi, dico: massima repressione e massima severità nel colpire il crimine; massima sensibilità nell'aiutare le aziende, se ci sono dei tentativi di infiltrazione, a superare questa fase. Ma se un'azienda ha rimosso queste situazioni è mai possibile che si debba leggere ancora oggi di interdittive che colpiscono i figli per colpe mai dimostrate dei padri?
È mai possibile che oggi nel Nord - e mi rivolgo ai colleghi meridionali - l'unico modo per salvarsi teoricamente è quello di non volere persone o imprese che provengono dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Campania? Il fatto stesso di avere contatti con loro mi mette a rischio, mette a rischio la mia azienda e la mia reputazione di parlamentare. Se poi affermi questa cosa, qualcuno dice che Giovanardi è un «erosore» di legalità perché non accetta in maniera acritica quello che fa un giudice. Qui, però, non parliamo di penale. Almeno lì un giudice dà un'imputazione, vi sono tre gradi di giudizio e ci si può difendere, e non si è colpevoli fino a sentenza passata in giudicato. In questo caso, un organo amministrativo «ammazza» te e la tua azienda: sei morto per un mese, due mesi, tre mesi o un anno. Tu rimuovi le cose che hanno detto, licenzi i manovali, ma dicono no, perché teoricamente non è escluso che in futuro possano ripetersi situazioni di questo tipo.
Se questa è la lotta alla mafia e alla camorra, vi avverto che occorre considerare una cosa: il sentimento popolare è importantissimo, perché - e concludo, signor Presidente - i cittadini devono essere alleati nella lotta contro la criminalità organizzata; devono avere paura della mafia, della 'ndrangheta e della camorra, non possono avere paura delle istituzioni, non possono considerare le istituzioni come loro nemici. Se ci mettiamo su questo piano di fanatismo, finirà che, invece di fare un dispetto alla mafia e di combatterla, le faremo una cortesia. (Applausi dei senatori Albertini, Schifani e D'Anna. Congratulazioni).

 
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