L’eccesso di zelo di Carlo Giovanardi

Un caso di inaudita gravità, che da solo basta a provare che il Partito dei Magistrati non tollera più la libertà e l’incensurabilità del Parlamento quando esercita la sua funzione di rappresentanza del popolo sovrano, si è verificato con la sottoposizione ad indagine penale del senatore Carlo Giovanardi per il fatto di essersi “con troppo zelo” speso per l’esercizio delle sue funzioni di componente della Commissione parlamentare Antimafia rilevando e denunziando le malefatte delle Prefetture e dell’apparato di polizia nel redigere le liste delle imprese “pulite”, cioè immuni da “infiltrazioni mafiose” e ‘ndranghetiste in Romagna con vere e proprie forme di persecuzione e “messa al bando” arbitraria di talune di tali imprese, così portate alla rovina e al rischio del fallimento.

Una premessa. Conosco Giovanardi da quando ero deputato e, pur lontano dalle sue posizioni politiche (era allora in Dc), ho sempre apprezzato il suo zelo nella difesa dei diritti di libertà e nella difesa di cittadini da abusi giudiziari e amministrativi. Ricordo i suoi interventi contro un’ondata di provvedimenti manifestamente assurdi, del Tribunale dei Minori di Bologna, che con sciagurata facilità disponevano la “sottrazione alla patria potestà” di bambini per strane elucubrazioni sui criteri educativi dei genitori, quelli che io chiamavo in varie analoghe interrogazioni “kidnapping giudiziari”.

Giovanardi, invece di intendere la sua funzione di componente della cosiddetta Commissione parlamentare Antimafia come la celebrazione di un rito incensatorio di “magistrati lottatori” e funzionari della stessa stampa (la Commissione non è “anti-mafia” ma “sul fenomeno della mafia e sulle funzioni repressive dello Stato”) ha rilevato, con riferimento specifico alla sua regione e al suo collegio, casi e fenomeni di carattere particolare o generale, di abuso dei provvedimenti con ingiustificabili messe al bando di imprese (il che implica il vantaggio di altre…) con conseguenze pesanti sull’economia e la salvaguardia di ragguardevoli entità di posti di lavoro. Lo ha fatto certamente con quell’impegno e, magari, con quell’irruenza che rappresentano il lato migliore del suo carattere.

Giovanardi, e questo è il mio dissenso politico dalle sue convinzioni, che non per questo apprezzo e rispetto di meno, come altri avrebbe il dovere di fare anche, se non altro, per preciso disposto di fondamentali principi di democrazia parlamentare, è convinto che sia l’applicazione delle leggi antimafia e di certe loro disposizioni (di alcune delle quali, peraltro, è riuscito ad ottenerne aggiustamenti e modifiche, con ciò “offendendo” i più sgangherati “lottatori” togati e non togati…). Io sono invece convinto che tutto l’apparato antimafia, una legislazione “contro”, di “lotta”, cioè non equa e rispondente a criteri di obiettiva chiarezza e di certi limiti, sia una legislazione in sé pericolosa e illiberale. Ma, ripeto, questo non ha la minima importanza per ciò che riguarda la figura del senatore e il rispetto e l’insindacabilità dovuta alla sua funzione.

Lo “zelo” di Giovanardi ha scatenato un’ignobile intolleranza nei suoi confronti, che si è manifestata con una denuncia a suo carico da parte, nientemeno, di due ufficiali dei carabinieri (Giovanardi è un ex ufficiale dell’Arma!) che si sono intesi “minacciati” dall’irruenza di certi suoi interventi e, inoltre, in un procedimento a suo carico, direi per “concorso parlamentare in attività imprenditoriale indiziariamente mafiosa” (non c’è limite alla scempiaggine delle contestazioni in un Paese in cui certe figure di reato possono inventarsele gli stessi magistrati che debbono applicarle).

Il fatto in sé è gravissimo. Si tratta della incriminazione per una attività propria delle funzioni parlamentari e di quelle più specifiche di commissario di una Commissione parlamentare. È una vera aggressione al Parlamento che in un qualsiasi Paese libero e democratico avrebbe suscitato un putiferio. Ma da noi a voler fare delle aule parlamentari “un bivacco per le camicie nere” o per le toghe nere o rosse non è stato solo Benito Mussolini. La stampa, i partiti di governo o “sgoverno” o della cosiddetta opposizione hanno ignorato questo episodio che non è un episodio qualsiasi ma un attentato mortale alle libere istituzioni. Nelle “informative” relative al processo al “concorrente esterno” si legge che “l’attività parlamentare del Senatore Giovanardi, è di per sé non giustificabile (!?) perché la critica alla normativa delle interdittive (i provvedimenti di messa al banco di imprese “sospette”) si risolverebbe in agevolazione alla mafia…”.

Ma neppure finisce qui. L’Ufficio di Presidenza della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia (la cosiddetta Antimafia) ha deliberato di indirizzare al senatore Giovanardi una lettera “perché, a partire dalla sua posizione giudiziaria valutasse se era ancora opportuna la sua attiva partecipazione alla Commissione”. Un modo ipocrita e “gentile” per invitarlo a dimettersi e a togliersi di mezzo.

Già: la presidenza, cioè Rosy Bindi e compagni. Non si cava il sangue dalle rape, mi direte. Ma con questa lettera l’ineffabile signora e i suoi sodali dell’Ufficio di Presidenza hanno dato il loro “concorso interno” (più interno di così!) all’attentato alle istituzioni parlamentari. Il “concorso esterno” lo hanno dato i giornali, in particolare l’Espresso. Al senatore Giovanardi tutta la nostra solidarietà che spero vivamente gli sia manifestata singolarmente dai nostri lettori. Non ci limiteremo a questo scritto. Occorre difenderci da tali attacchi. Liberiamoci!