Immigrazione: Sì ai Cie per chi delinque

Riaprire i centri di identificazione ed espulsione

Immigrazione: Sì ai Cie per chi delinque

di Carlo Giovanardi  10 Gennaio 2017

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Riaprire i CIE, centri di identificazione ed espulsione, come proposto dal nuovo ministro degli Interni, Marco Minniti (Pd), o contrastare radicalmente questo progetto come hanno immediatamente fatto, smentendo il loro ministro, il governatore della Toscana Enrico Rossi (Pd), il sindaco di Bologna Virginio Merola (Pd)? La risposta varia a seconda che si voglia affrontare il problema epocale dell'immigrazione con cultura di Governo e soluzioni atte a fronteggiarlo, o se si vuole invece semplicemente cavalcare posizioni demagogiche per andare a raccattare qualche voto da un'opinione pubblica esasperata.

Avendo seguito dall'opposizione la nascita della legge Turco-Napolitano e avendo contribuito come ministro a scrivere quella che è stata la sua naturale evoluzione e cioè la Bossi-Fini, mi iscrivo e voglio iscrivere "IDEA-Popolo e Libertà" nell'elenco di quelli che vogliono risolvere i problemi e non strumentalizzarli a fini elettorali. Ricordo a tutti infatti che nel centrodestra c'è cultura di Governo come dimostrammo proprio nel 2002 (Governo Berlusconi) con la regolarizzazione, voluta anche da Bossi e Maroni, di ben 700.000 fra colf, badanti e lavoratori dipendenti.

Attenzione, sto parlando di regolarizzazione e non di sanatoria, perché l'operazione consentì di fare emergere lavoro sommerso, recuperare mancati versamenti previdenziali e fiscali, risolvendo nel contempo anche  un problema di legalità per un numero straordinariamente alto di famiglie italiane. Nel contempo però ci eravamo posti il problema, ritornato di straordinaria attualità con l'attuale  gigantesca ondata migratoria, di distinguere le persone per bene, anche se entrate in Italia in maniera irregolare, rispetto a chi viceversa sul nostro territorio commette reati.

La soluzione, sia nella Turco-Napolitano sia nella Bossi-Fini, era ragionevolmente equilibrata: respingimento alla frontiera o espulsione successiva per via amministrativa per chi non aveva titolo di entrata, sanzione penale per chi non ottemperava all'ordine di espulsione ed in caso di recidiva si poteva arrivare fino alla pena detentiva. In questa ottica gli attuali centri di identificazione (CIE), prima denominati centri di permanenza temporanea (CPT), erano luoghi in cui trattenere i sottoposti al provvedimento di espulsione nel caso in cui il provvedimento non fosse immediatamente eseguibile. 

Purtroppo due circostanze hanno portato al fallimento di questa esperienza. La prima è stata quella di utilizzare queste strutture non soltanto per chi rifiutava di farsi identificare o aveva precedenti penali, oppure era sospettato di attività criminali ma anche ad esempio con  colf e badanti magari fermate perché risultanti semplicemente non in regola o con il permesso di soggiorno scaduto. La seconda è stata l'improvvida e demagogica introduzione del reato di immigrazione clandestina da noi fortemente contrastata, che ha messo in moto parecchie centinaia di migliaia di procedimenti penali obbligatori, uno per ogni clandestino sbarcato in Italia, che si risolvono in caso di condanna definitiva dopo tre gradi di giudizio in una multa che risulta nessuno abbia mai pagato.

Si tratta, pertanto, di ritornare  ad un sistema che privilegi i respingimenti l'espulsione per via amministrativa applicabile a tutti coloro che vengono in Italia non  per salvarsi da guerre e terrorismo ma semplicemente  per trovare condizioni di vita migliori. Se si vuole poi sviluppare una politica dell'integrazione nei tempi lunghi, con un occhio di riguardo soprattutto ai migranti di vecchia generazione, con figli nati e cresciuti in Italia, che con l'attuale crisi economica perdono il posto di lavoro e non sanno a che Santo rivolgersi, bisogna assolutamente distinguere  fra Abele e Caino, identificando ed espellendo dall'Italia tutti quelli che sono qui non per lavorare ma per delinquere.

Se i CIE avranno questa funzione, appoggeremo convintamente la proposta del ministro Minniti. Ad una condizione però: che il Governo garantisca risorse finanziarie, uomini e mezzi per dimostrare ai cittadini italiani esasperati da furti, scippi, rapine, case svaligiate, spaccio di droga eccetera, che le espulsioni saranno effettive e gli accordi con i paesi di provenienza seri e credibili, così come era avvenuto ai tempi del Governo Berlusconi quando l'afflusso dei disperati sui barconi dalla Libia si erano quasi azzerato.