IL SENATO DA LEZIONE DI MORALITA' A GERARCHI FANATICI

ll Senato dà lezione di moralità a gerarchi fanatici

di battista di maio

Voglio ricordare ad Alessandro Di Battista e Luigi De Maio, gerarchi pentastellati, che hanno rispettivamente parlato di “istituzionalizzazione del crimine” ed evocato “manifestazioni in maniera violenta” dopo il voto del Senato su Augusto Minzolini, e ahimè anche al Ministro Graziano Delrio, che ha criticato come ai senatori del Pd sia stata concessa (sigh!!!) libertà di coscienza sullo stesso voto, che esiste un dovere di non sottostare ad una obbedienza cieca, quando si è in coscienza convinti di essere di fronte ad un comportamento immorale o illegale imposto da una autorità.

La storia del secolo scorso purtroppo è piena di persone che si sono difese dopo aver commesso crimini ripugnanti con la solita frase: “mi dichiaro non colpevole, ho solo eseguito degli ordini”. Non mi riferisco soltanto agli eroici comportamenti, si contano sulle dita di una mano, di chi ha preferito farsi fucilare piuttosto che essere complice di questi crimini, ma più banalmente a vicende che hanno coinvolto un intero popolo, come l’applicazione delle leggi razziali in Italia, che, secondo una concezione filosofica autoritaria dello Stato, in quanto provenienti da una autorità legittima (c’era ancora il Re), sono perciò legittime e dunque devono essere eseguite, osannate fra l’altro da torme di intellettuali e giornalisti plaudenti.

Quanti furono coloro che si ribellarono rifiutandosi, per esempio, di espellere i bambini ebrei da tutte le scuole del regno? Secondo i De Maio e i Di Battista criminali da esporre al pubblico ludibrio furono questi grandi italiani e non quelli, di certo più del novanta per cento, che rispettarono scrupolosamente la legge in vigore.

Torniamo al caso Minzolini. Giovedì 16 marzo i senatori dovevano decidere se espellerlo dal Senato per indegnità morale in base ad una sentenza penale passata in giudicato per peculato, sapendo che: della stessa accusa Minzolini era stato assolto in primo grado, il suo comportamento ritenuto legittimo (e non immorale) con una sentenza definitiva del giudice del lavoro, condannato poi in secondo grado da un collegio di cui faceva parte un ex collega parlamentare avversario politico, tornato in magistratura dopo la parentesi politica, senza riconoscimento di attenuanti malgrado la restituzione alla Rai della somma contestata di 60 mila Euro, quella che secondo il giudice civile Minzolini aveva avuto il diritto di utilizzare.

Aggiungo: la Corte di Cassazione a sezioni unite,successivamente al caso Minzolini ha stabilito che in appello deve essere rifatta l’istruttoria, non potendosi passare dall’assoluzione alla condanna senza soddisfare questa esigenza. A maggior ragione pertanto il Senato poteva e doveva valutare la condanna di Minzolini da parte della Magistratura e la relativa decadenza, così come la Corte Costituzionale, specularmente, ha potuto cancellare norme della legge Fini-Giovanardi sulla droga, senza minimamente entrare nel merito della stessa. La Corte, infatti, nel 2008 (la Fini-Giovanardi è del 2006), modificando una decennale giurisprudenza ha stabilito che un disegno di legge di conversione di un Decreto Legge non è lo strumento proceduralmente idoneo per aggiungere norme non contenute originariamente nel decreto approvato dal Governo, benché la Fini-Giovanardi avesse superato in Parlamento le pregiudiziali di costituzionalità, ottenuto il voto di fiducia e fosse stata promulgata con l’autorevole firma dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Per fortuna in Senato, malgrado gli idolatri della forma sulla sostanza, vi sono ancora senatori al cui coraggio voglio rendere omaggio, che hanno votato a favore dell’ordine del giorno che garantiva a Minzolini la permanenza in Parlamento. Non sto parlando dei senatori dell’opposizione di centrodestra, per i quali anzi poteva nascere qualche problema se votavano contro quell’ordine del giorno e neppure di quei sepolcri imbiancati che si sono rifugiati nell’astensione spiegando però che comunque era un voto contrario alla permanenza in Parlamento e neppure degli ignavi assenti ingiustificati al voto, che si sono rimessi alla coscienza degli altri, ma a quei senatori della maggioranza che hanno votato sì, dando una bella lezione a tutti quelli che pensano si debba applicare una terribile ed umiliante sanzione ad un collega che non la merita, per piccole miserabili convenienze di parte o fanatica soggezione ad una idea astratta di legalità.